Prefazione del libro "Protocollo S - Sequestro di persona"

di Federico Motka

L’ipotesi di uno sradicamento nel breve termine del fenomeno dei sequestri a scopo di riscatto – utilizzati come strategia di condizionamento e potere – è assai remota. Sebbene l’incidenza dei sequestri, che rappresentano un’arma tanto efficace quanto brutale, sia variabile e soggetta ad alti e bassi, tale crimine rimane una minaccia costante. Occorre tenere presente che detta minaccia non riguarda solo coloro che scelgono di operare in ambienti ad alto rischio; la storia ci insegna, infatti, che il fenomeno dei sequestri può interessare qualsiasi società.

Nella maggior parte dei casi, il tema dei sequestri evoca fantasie e percezioni di un mondo oscuro completamente avulso dalla realtà di tutti i giorni, un mondo da romanzi e biografie illustri. In parte, ciò è dovuto alla complessità e alla continua evoluzione di un fenomeno tradizionalmente avvolto nel mistero.

Il fenomeno dei sequestri è assai complesso e caratterizzato da una serie di elementi interconnessi, con ripercussioni su interi e svariati gruppi di soggetti e attori, a prescindere dalle epoche storiche, dai confini geografici e dalle dinamiche politiche, di governance ed economiche. L’attuale scarsa conoscenza e consapevolezza del tema da parte dell’opinione pubblica è figlia di una mancanza di comunicazione. Come sottolinea Umberto Saccone nel libro, spesso la migliore strategia per coloro che si ritrovano catapultati nella brutale realtà di un sequestro è quella di tenere la questione e i suoi sviluppi lontani dai riflettori e impedire che diventino di dominio pubblico.
In particolare, Umberto Saccone sostiene che vi siano una serie di ottime ragioni che giustificano la legittimità di tale strategia. Proprio nel mio caso, la discrezione e il basso profilo sono stati fattori decisivi per il mio rilascio.

Anche in quelle situazioni in cui si sceglie di incoraggiare una mobilitazione dei media o dell’opinione pubblica, la gente finisce sempre per avere una percezione superficiale e parziale (e spesso risultato di una tendenza al sensazionalismo) di un problema altamente complesso e delicato.

Di conseguenza, troppo a lungo abbiamo ignorato il fenomeno, omettendo di inquadrarlo come questione di responsabilità collettiva e, soprattutto, manifestando una chiara incapacità di adottare adeguate contromisure. Qualunque sia il soggetto chiamato a definire strategie e politiche per la mitigazione del rischio di sequestri o per la gestione di un caso di rapimento, possiamo tutti concordare su una cosa: allo stato attuale, la nostra società non è in grado, come collettività, di affrontare le sfide poste dal fenomeno.

Mi sono reso conto di questa realtà solo nel momento in cui gli eventi del 2013-2014 in Siria hanno sconvolto la mia vita. Il fatto che il mio amico e collega David Haines (tra gli altri) sia rimasto ucciso, al contrario di me, è per me la prova più evidente di questo fallimento collettivo.

È per questo motivo che libri autorevoli come questo sono così importanti. Se vogliamo potenziare la nostra coscienza e conoscenza collettiva del fenomeno (a partire da persone come me che viaggiano in aree di crisi per lavoro), dobbiamo innescare un dibattito ragionato e oggettivo, evitando di scivolare nel tribalismo che fino a oggi ci ha impedito di fare progressi sul tema. Per fare ciò, abbiamo bisogno di armarci di conoscenza: conoscenza della storia e dell’evoluzione del fenomeno, passando per l’analisi di eventi reali e informazioni oggettive. È esattamente questa la criticità evidenziata da Umberto Saccone in relazione alla nostra prospettiva italiana. Saccone sottolinea il fatto che coloro che si macchiano di questi atti di violenza hanno iniziato a scambiarsi esperienze, imparando ciascuno dagli errori e dalle tecniche dell’altro; nello sforzarci di volta in volta di elaborare contromisure e strategie operative, come possiamo tenerci al passo dei criminali se non siamo in grado di scambiarci informazioni e definire una visione comune e condivisa?

Come ausilio nell’approccio a una materia così complessa, vi esorto a partire dall’assunto fondamentale enunciato da Umberto Saccone nei primi capitoli del libro: il sequestro è un crimine intrinsecamente violento, indipendentemente dal fatto che l’ostaggio sia oggetto di maltrattamenti o violenze. L’atto stesso riduce la vittima a una dipendenza animalesca dai suoi sequestratori. Tale dipendenza, che è uno degli obiettivi dei rapitori, non si riduce alla relazione tra il/i sequestratore/i e l’/gli ostaggio/i. In realtà, il concetto di dipendenza si estende anche alla famiglia, agli amici, al datore di lavoro e al governo del paese dell’ostaggio. Perché la libertà e la reintegrazione di una vittima di sequestro dipendono tanto dalla volontà dei sequestratori quanto dalle scelte dei suddetti soggetti esterni.

In virtù di questa dipendenza, la natura violenta di un sequestro viene proiettata anche su quei soggetti (famiglia, amici, datore di lavoro e governo), che spesso si trovano a migliaia di chilometri di distanza. Personalmente, ho trascorso ore e ore pensando ai miei cari e all’impatto che le mie scelte stavano avendo su di loro. Spesso sono proprio i familiari dell’ostaggio a trovarsi in prima linea quando si tratta di prendere decisioni e quando vengono scambiate informazioni e comunicazioni. Le famiglie si ritrovano catapultate nel vortice di un turbine emotivo profondamente e terribilimente angosciante, soprattutto nei momenti in cui non giungono notizie.

Questo aspetto viene spesso dimenticato, poiché l’attenzione è sempre rivolta ai soggetti coinvolti direttamente nel sequestro e nelle successive trattative. Se vogliamo comprendere appieno le conseguenze di un sequestro e adottare le necessarie contromisure e strategie, è importante non trascurare il ruolo delle famiglie.

Allo stato attuale, vi sono organizzazioni che si occupano del sostegno e recupero non solo degli ostaggi, ma anche dei loro familiari. In Italia, esiste un progetto, ancora in fase iniziale, che fornisce supporto ai familiari nei casi di sequestro. Si avverte la crescente necessità di riempire il vuoto che si crea quando mancano le informazioni, quando le comunicazioni con i sequestratori rimangono interrotte per mesi. Solo chi ha vissuto un’esperienza del genere sulla propria pelle può comprendere l’importanza di condividere l’angoscia di quei momenti. Hostage Italia è composta da personale qualificato in grado di aiutare le vittime di sequestri a riprendere il controllo della loro vita, crudelmente sconvolta da un evento così efferato. Tramite l’assistenza di psicologi specializzati, la mission di Hostage Italia è quella di informare e sostenere sia gli ostaggi che le loro famiglie. So per esperienza diretta quanto fosse importante non solo per me, ma per la mia famiglia avere accesso a questo tipo di supporto. Perché in fin dei conti, se un sequestro ha un inizio e una fine ben definiti, il recupero dal trauma di un sequestro è un percorso tortuoso e lungo che non è possibile affrontare da soli.